#Foodporn_mania

Ieri, durante il workshop Antropologia del foodsystem, ci siamo fatti un viaggio lungo, intenso e importante. Come ha detto il Professor Alex Giordano, infatti, parlare di cibo significa parlare di economia, geopolitica, tecnologie, cultura, ambiente.., oltre che di comunicazione e innovazione.

Il sistema dell’agrifood è una lunga catena di attori, bisogni ai quali rispondere, interessi e forme di potere che vanno analizzate, comprese e fatte diventare oggetto di comunicazione, operando delle scelte che, possibilmente, vadano nella direzione di rendere trasparenti e chiare tutte le informazioni utili, anche quando siamo chiamati ad utilizzare linguaggi di persuasione come la pubblicità.

Intorno al cibo lo storytelling è diventato onnipresente, a partire dalle fotografie che facciamo e postiamo ad ogni sorta di piatto che ci si para di fronte. Il Professor Giordano ci invita ad orientarci verso il #foodlove superando la #foodporn_mania cioè superare una logica voyeristica nella comunicazione del cibo, per portare informazioni e dati che possano far comprendere i fenomeni e orientare nelle scelte di consumo, rendendo autonome le persone nei loro orientamenti.

Ci serve parlare del foodsystem

La narrativa che domina i media in questo periodo, ha detto Annalisa Gramigna (che si occupa di politiche locali per la partecipazione, la comunicazione e l’innovazione sociale), si muove compatta nel presentare il tema del foodsystem all’interno delle questioni legate al cambiamento climatico. Gli elementi più evidenziati dai media sono relativi agli effetti disastrosi che il sistema di produzione dell’agricoltura convenzionale ha generato sull’ambiente e al ruolo salvifico delle tecnologie. Lo storytelling più utilizzato da chi propone nuovi modelli è l’ampio perimetro degli SDGs, i 17 obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica dell’ONU.

Questo apre la riflessione su “cosa c’è” e “cosa manca” nella comunicazione mainstream legata al foodsystem. 

L’antropologia e il foodsystem

Abbiamo proseguito il viaggio accompagnati dall’antropologo Karl Xaver Wolfsgruber, seguendo una pista segnata da domande apparentemente semplici:

  • da dove veniamo
  • dove stiamo andando
  • come ci siamo arrivati
  • dove andremo

Se ci giriamo indietro a guarda da dove veniamo dobbiamo riconoscere prima di tutto che l’essere Umano è un prodotto dell’Ambiente. Per vivere ha bisogno di nutrirsi di Aria, Acqua e dei prodotti della Terra (vegetali e/o animali). L’essere Umano mangiando, assimila il mondo che lo circonda riproducendosi come parte di esso.

Il cibo era, è, e dovrebbe continuare ad essere la principale fonte di vita e di salute per tutti gli esseri viventi.

Il presupposto per (r)esistere è la capacità di mantenere le giuste proporzioni.

Peccato che gli umani queste giuste proporzioni non le abbiano rispettate, mettendo a rischio l’ecosistema che consente la nostra stessa esistenza. La biodiversità naturale, infatti, è alla base della sostenibilità alimentare umana e la sua continua erosione sta mettendo a rischio la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi.

Ecco dove stiamo andando: dritti verso l’estinzione, avendo trasformato la cucina da atto umano (arte di adattamento e sopravvivenza della specie umana) in atto disumano.

Quello che ormai tutti gli scienziati ci spiegano è che l’attuale sistema alimentare, basato sul sovra-sfruttamento, sullo spreco e sull’inquinamento delle risorse ambientali, non è più un modello proponibile, né per i paesi che l’hanno creato, né per quelli che stanno cercando di imitarlo.

Siamo arrivati fin qui con processi sociali complessi che hanno rafforzato, nel tempo, un modello  centrato su un paradigma socio-economico che ora non regge più. La nascita delle città ha iniziato a indebolire il rapporto diretto e autonomo dell’uomo con il proprio territorio e, di conseguenza, si è indebolita la percezione della sacralità (in quanto garanzia di sopravvivenza) delle tradizioni locali.

La popolazione mondiale vive in aree urbane: il 55% nel 2019 e a tendere il 70% nel 2050.

E’ in popolazioni via via smemorate (che perdono il contatto con saperi tradizionali) che il nuovo, a tutti i livelli, acquista sempre più fascino e valore sociale. E dobbiamo riconoscere che dove l’uomo non ha dimenticato riesce a sopravvivere da millenni in armonia con la natura.

Dentro a questo sistema sociale abbiamo cominciato a produrre cibo per grandi numeri di persone che non lo auto-producevano più e lo sviluppo dell’industria del cibo va di pari passo con la nascita di mistiche varie che, gradualmente, hanno orientato i consumi alimentari (le calorie, le proteine, la carne, il latte…). A partire dalla fine dell’800 i grandi allevatori Nordamericani e le loro big corporations hanno investito tantissime risorse per creare, diffondere, controllare e difendere il loro food-business. Ed è quello che ora stiamo facendo anche noi europei.

Indubbiamente siamo arrivati qui dove siamo grazie ad un ottimo lavoro di comunicazione e storytelling.

foodsystemE ora? Non ci sono tantissime vie d’uscita. Per salvaguardare il Pianeta e la nostra salute dobbiamo educarci e diffondere un consumo alimentare CRITICO e CONSAPEVOLE.

Dal lato della comunicazione 2.0 e del digital storytelling è importante creare un discorso sul cibo che superi la polarità tra ethos e pathos integrando anche il logos. Significa tenere insieme la comunicazione dei valori e quella esperienziale-emotiva, con dati che possano raccontare -anche grazie a tecnologie, IoT o blockchain per esempio- condizioni oggettive e impatti del cibo sul nostro sistema sociale, ambientale, economico e culturale. Ci serve uno storytelling multilinguaggio e transmediale che esalti la capacità performativa dei media interattivi a supporto di nuove forme di relazione sociale e dell’interazione tra reti e territorio. #Infotelling

Ci serve recuperare alcune competenze pratiche che possiamo ritrovare nelle arti tradizionali pre-moderne, creare occasioni collettive di apprendimento e lavorare, come comunità, a vantaggio dell’autonomia delle persone, usando le tecnologie come leva, come strumento abilitante e di supporto da utilizzare, da creare e da ripensare, in modo coerente con i significati definiti/ri-definiti e formulati/ri-formualti.

Il nostro viaggio di ieri chi ha lasciato

  • con la convinzione che sia importante nelle Università promuovere occasioni di confronto e dialogo come queste;
  • con la responsabilità di svolgere quotidianamente una funzione enzimatica a supporto dei processi di innovazione, guidati dalla necessità di declinare costantemente il senso di questi processi;
  • con la possibilità di diventare, come singoli e come facilitatori delle #intelligenzecollettive, degli utili anticorpi sociali.

Perché, come dichiarato anche nel nostro Manifesto, Societing 4.0 accetta di essere parte e presente nel mondo danneggiato in cui ci troviamo e ricerca nuovi modi di azione e reazione che coltivano la capacità di prendersi cura delle persone e dell’ambiente.

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