Mai come oggi l’umanità intera ha condiviso negli stessi istanti la medesima tragedia, a prescindere da condizioni sociali e geopolitiche. Il virus si diffonde ovunque, come la rete. È potente, come la rete. Ma viaggia solo grazie a noi, e grazie a noi lascia tracce di sé proprio sulla rete. I miliardi di dati e informazioni pulviscolari che seminiamo nel web, se raccolti, interpretati e calcolati, possono essere cruciali per anticipare le mosse del virus, o per lo meno per tenere il suo passo e non arrancare. Il nodo è questo, e non riguarda solo la lotta al virus: il vero potere è oggi nelle mani di chi cattura e gestisce le nostre tracce online, e se si tratta dei tre o quattro colossi del web la democrazia latita. La pandemia, oltre al dramma delle morti, lancia un allarme più profondo: se vogliamo difendere la democrazia, è urgente riconsegnare il potere al pubblico, affidare la gestione dei nostri dati alle istituzioni, e parallelamente accrescere le nostre competenze digitali. Assumere un atteggiamento critico e consapevole nei confronti dei numeri che recepiamo passivamente e degli strumenti informatici che adoperiamo con disinvoltura: è questa l’unica arma che abbiamo per smascherarne la fasulla neutralità e riacquistare la nostra voce.

«Oggi si diventa entità civile e democratica se si dispone dell’autonomia nella gestione dei dati. Calcolare il trend della pandemia, certificare la sicurezza di un territorio e di un’attività, è il vero potere sovrano. È come battere moneta, amministrare giustizia, gestire i canali di informazione televisiva».

Il contagio dell’algoritmo – Le Idi di marzo della pandemia è il nuovo libro di Michele Mezza con un saggio di Andrea Crisant, prefazione di Enrica Amaturo. In appendice l’ultima lezione di Giulio Giorello nella testimonianza della moglie Roberta Pelachin.

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