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Il futuro è una performance

«Il futuro non esiste, è una performance che ci vede tutti coinvolti nelle dimensioni del desiderio e dell’immaginario».

Lo scorso 18 luglio Salvatore Iaconesi – artista, hacker e scienziato – ci lasciava.

Sin dal 2012, anno in cui Salvatore si ammala di cancro al cervello, questo era certamente uno degli scenari possibili, uno dei meno desiderabili eppure “è successo“, è accaduto.

Una volta dimesso dall’ospedale ormai dieci anni fa, Salvatore – con l’aiuto di sua moglie Oriana – raccoglie la documentazione medica e decide di metterla online condividendo i dettagli sul proprio stato di salute: referti, immagini radiologiche, prescrizioni, tutto finisce su una pagina web. I dati della malattia, quelli personali che tendiamo a non condividere per preservare il nostro “diritto di privacy” vengono messi in mostra, inseriti all’interno del tessuto sociale per raccontare effettivamente qualcosa.

L’idea di Iaconesi non era cercare una cura nel senso canonico del termine – anche se, come egli stesso, ha ammesso non la disdegnava di certo – ma La Cura: l’obiettivo era portare la malattia anche fuori dalle corsie degli ospedali, fuori dalla separatezza. La malattia è una questione sociale: non è solo il malato ad ammalarsi, ma con lui si ammala anche tutto il sistema di relazioni che gli è attorno. «It takes two, to know one», da solo non puoi conoscere, non puoi nemmeno esistere.

«Iniziata nel 2012 e operata nel 2013, la mia malattia ci ha dato tregua fino al 2020, per 7 anni pieni. Di 6 mesi in 6 mesi e poi, quando si è ricominciato a vedere che qualcosa non andava, di 3 in 3. Sono stato operato di nuovo nel 2020 (…) dall’operazione, ho guadagnato un altro anno. Che col COVID sono sembrati 5 minuti, anche se sono successe un sacco di cose».

Cinque minuti in cui ciascuno di noi si è reso conto di quanto la nostra vita possa essere strettamente connessa ad una manciata di dati numerici. Ricorderemo il 2020 come l’anno in cui siamo stati sottoposti ad un grande esperimento sociale. Dove siamo ora? E soprattutto dove stiamo andando? Stiamo cercando di orientarci in cieli che conosciamo molto poco fatti di astri nuovi, tecnologici e computazionali.

Siamo nell’indeterminazione, come Salvatore quando il 26 luglio condivideva i risultati della sua risonanza. Le immagini, i dati, da soli non bastano: sono fatti di uno, di pieni, di cose che sono e non possono non essere, ma anche di zero. I dati sono fatti anche di vuoti che ciascuno di noi è o dovrebbe essere in grado di colmare con la propria sensibilità personale; non sono asettici e distanti: ci entrano nella carne, ci perforano la pelle, ci riguardano.

La complessità, quella in cui siamo immersi, è fatta di una moltitudine di variabili tra loro interconnesse; è ciò che «non ha soluzione nel senso ingegneristico del termine». La complessità è ciò che più si avvicina alla tragedia, all’apoteosi del sentire.

Luglio 2022, Oriana condivide sui social il racconto di un epico viaggio sospeso tra la speranza e l’incertezza. Racconta di come le cure abbiano fallito e della speranza con cui a Giugno si è provato ad agire sul cancro di Salvatore con una nuova terapia sperimentale:

«È così, viaggiando con lo zaino in spalla, che abbiamo deciso di trascorrere il nostro tempo sospeso fra la minaccia di una aggressiva progressione, il fallimento della chemio e la possibilità in una strada evolutiva della nastra relazione con il cancro, rappresentata dall’approccio immunologico che piano piano si sta facendo strada, portando con sé una speranza: che al bombardamento e alla guerra operata sui corpi  riusciremo ad immaginare strade nuove, basate sulla coesistenza, la comunicazione, comprensione dei nostri corpi che sono colonie».

Salvatore

La scienza e la tecnologia, sono l’espressione più diretta della condizione tragica dell’umano poiché ne evidenziano a pieno le dicotomie: la scienza può salvare dal cancro (o anche no), ma può anche determinare definitivamente il collasso climatico; può permetterci di esprimerci come non mai nella storia dell’essere umano, ma può anche essere l’arma perfetta dei governi autoritari.

«Ma la scienza e la tecnologia devono fallire. Perché senza questo fallimento non ci sarebbero il dolore, la tragedia, il bisogno». Senza questi ultimi non potrebbe esserci evoluzione, né quella dell’essere umano, né della scienza e nemmeno della tecnologia stessa.

Il mondo è limitato.

La vita è limitata e questo limite ha un valore.

Questo stesso limite è il valore.

L’accettazione del limite, il riconoscere (assieme ad altri) il proprio stato tragico, è quella che si definisce agnizione ed è il primo passo, forse l’unico, che consente l’uscita dalla dimensione della tragedia.

Quando lo scorso novembre abbiamo avuto l’onore di intervistare Oriana e Salvatore, abbiamo avuto modo di discutere della figura dell’artista che lavora con la tecnologia e, in particolare, di come in realtà questo tipo di arte che potremmo definire (col mero scopo di capirci) “Arte del terzo millennio” sia frutto di un autore collettivo. Parlando della figura dell’artista che si occupa di rileggere i dati come nuovi confini esistenziali lavorando con e per mezzo delle tecnologie, Salvatore diceva una cosa che oggi risuona nella mente:

«Non è vero che Oriana e Salvatore scompaiono, noi siamo parte, lottiamo per ed in questa mappa per lasciare un segno della nostra vita insieme agli altri. Noi stiamo in e per mezzo degli altri».

Un messaggio gentile, disarmante, perché di forza e violenza ne abbiamo avuta già abbastanza.

Come un diapason sensibile, il corpo di Salvatore risuona insieme al mondo lasciandoci sospesi fra la catastrofe e la metamorfosi. Il cancro che torna a gennaio insieme alla pandemia, la progressione con la guerra in Ucraina, il suo corpo e il mondo respirano insieme: un unico polmone che diventa noi. Non sappiamo cosa accadrà. Non sappiamo se avremo i tre mesi necessari alle cellule rinfuse per attecchire. Non conosciamo le sorti della guerra, della pandemia, del nostro pianeta che soffre e delle nostre.

Ancora una volta, con le parole di Oriana, torniamo lì dove abbiamo cominciato per provare a riflettere e rimontare i cocci.

“Il futuro non esiste, è una performance”.