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La trasgressione: il massimo comune divisore tra arte e innovazione

Lo scorso 19 Dicembre, in occasione del workshop Antitesi road to Sympoietica, abbiamo chiesto in che modo arte e innovazione fossero tra loro collegate. Salvatore Iaconesi – artista e fondatore assieme ad Oriana Persico della fondazione Nuovo Abitare – ha esordito dicendo: Il fenomeno creativo, così come l’innovazione, è un atto di trasgressione.

Il linguaggio è, da sempre, una convenzione; cominciare dalle parole è il modo più utile per “metterci d’accordo”. Cosa intendiamo, dunque, quando parliamo di trasgressione? Certamente non facciamo riferimento al violare un sistema di leggi precostituito, ma intendiamo seguire il ragionamento della filosofa femminista Elizabeth Grosz.

Trasgredire deriva dal latino ed è il composto di trans- «al di là-» e –gradi «andare, camminare»; significa letteralmente “andare oltre”, oltrepassare i limiti. Elizabeth Grosz – con la sua teoria dell’Excess Space – sottolinea come i trasgressori non sono coloro che si oppongano ai limiti, ma li riconoscono e, riconoscendoli, li spostano. La trasgressione non è oppositiva: è attraversare, andare oltre per identificare quel “non ancora” che può essere reso possibile.

L’eccesso è ciò che non trova posto negli schemi precostituiti; fare arte (e innovazione) significa “puntare i riflettori” oltre l’ordine delle nostre categorie, su quello che possiamo definire un futuro possibile, desiderabile.

Fin dalla sua comparsa la nostra specie si è ibridata con gli strumenti che costruisce; in realtà homo sapiens è sempre stato homo technologicus: simbionte di uomo e tecnologia in perpetua co-evoluzione. La tecnosfera contribuisce a formare e definire l’essenza dell’umano; ridisegna il suo immaginario inserendosi attivamente nel processo di innovazione/trasgressione.

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La creatività in correlazione con la tecnologia si presenta – possiamo parlare al presente poiché si tratta di una rivoluzione estetica già in atto – come una tendenza che (se compresa e agevolata) diviene un vero e proprio motore per la società. Il principio è, in apparenza, semplice: nella rapporto tra arte e innovazione gli artisti, utilizzando tecnologie sempre più complesse,  hanno bisogno di expertise tecniche, di lavorare in dipartimenti scientifici e all’interno di aziende di settore.

L’estro artistico, però, non si limita a guardare ciò che già esiste. Con lo scopo di seguire la propria visione, gli artististressano la tecnologia” introducendola in ambiti di applicazione che non le sono propri. Così facendo puntano l’attenzione su quel “non ancora”; portano alla ribalta l’esistenza di quella data tecnologia, ne rivelano limiti, potenzialità, implicazioni etiche; la infiltrano all’interno di nuovi contesti.

Riportiamo, in ordine cronologico, tre casi studio che possono fare da segnaletica per questa riflessione tra arte e innovazione tecnologica.

Stranger Visions di Heather Dewey Hagborg

Dewey-Hagborg è un artista e biohacker interessata all’arte intesa come strumento di ricerca e critica tecnologica. È anche co-fondatrice e co-curatrice di REFRESH, una piattaforma collaborativa inclusiva e politicamente impegnata all’incrocio tra arte, scienza e tecnologia.

La sua controversa pratica artistica include il progetto Stranger Visions in cui ha creato ritratti scultorei da analisi di materiale genetico raccolto in luoghi pubblici (capelli, mozziconi di sigaretta, gomme da masticare). Una volta estratto il DNA, questo è stato analizzato per generare tramite intelligenza artificiale ritratti a colori a grandezza naturale che, in un secondo momento, sono stati stampati in additive manufacturing. Lavorando con le tracce lasciate inconsapevolmente dagli individui, il progetto aveva lo scopo di richiamare l’attenzione sulla fenotipizzazione del DNA forense (un’innovazione all’epoca in via di sviluppo), sul potenziale per una cultura della sorveglianza biologica e sull’impulso al determinismo genetico.

Di Protoni e Dati ideata da Salvatore Iaconesi e Oriana Persico

Di Protoni e Dati si propone come una collaborazione tra arte e innovazione tecnologica che punta ad instaurare empatia, mediante una rappresentazione dei dati provenienti da una seduta, tra chi deve sottoporsi ad un trattamento di protonterapia ed il resto del corpo sociale. La protonterapia è un tipo di cura che utilizza un raggio di protoni per irradiare il tessuto malato; si utilizza il più delle volte contro il cancro.

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Di Protoni e di Dati – HER: She loves data

L’opera si presenta in una triplice forma: un video con un suono stereofonico immersivo; una mascherina termoplastica modellata attorno al viso del paziente utilizzata per evitare che si muova – in questo caso la mascherina è quella di Salvatore Iaconesi, che ha subito il trattamento nel 2020–; un breve documentario, in cui i protagonisti e i partner raccontano perché è una buona idea instaurare queste forme di collaborazione.

In Di Protoni e Dati la terapia diventa un artefatto culturale trasformandosi in musica e suoni. Pertanto, può essere condivisa così da costruire più facilmente conversazioni significative di empatia e solidarietà. Inoltre – dal momento che i modi dell’arte di guardare ai dati sono molto diversi da quelli delle scienze – il remix delle conoscenze può provocare innovazioni radicali: ricercatori e artisti sono “costretti” a sperimentare sistematicamente processi per loro non usuali, talvolta anche sconosciuti, assumendo una nuova prospettiva sulle cose.

BIOFILIE personale di Giulia Tomasello

Giulia Tomasello è una designer italiana che lavora combinando biotecnologie e wearable technology per rompere i tabù sui corpi delle donne. Vincitrice nel 2018 dello STARTS Prize, premio assegnato ai progetti che rappresentano “alleanze innovative tra tecnologia e pratiche artistiche“, la Tomasello esporrà (dal prossimo 10 Febbraio) la sua prima personale presso la Mole Vanvitelliana di Ancona col titolo BIOFILIE. La mostra, visitabile fino al 20 Febbraio, racconta per la prima volta in maniera esaustiva il lavoro eclettico e transdisciplinare realizzato attorno a temi complessi come femminismi, cura e biodesign.

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Coded Bodies – Giulia Tomasello

Evitando di tracciare confini e linee di separazione tra conoscenza scientifica, umanesimo e innovazione sociale, BIOFILIE pone una particolare attenzione alle relazioni plurali e inclusive che esistono tra l’umano e il non umano. Per approfondire queste pionieristiche forme di conoscenza, la Tomasello coordina progetti corali che spaziano dalle nanoscienze alla medicina, dal design all’hacking.

Dal percorso segnato dalla mostra emerge un approccio radicalmente nuovo alla conoscenza: un cambio di paradigma in cui l’educazione non è un passaggio di informazioni, ma svolge un ruolo imprescindibile per l’avanzamento del sapere stesso.

La sala più intima della mostra ospita Future Flora, progetto vincitore dello STARTS Prize 2018. Un kit per prevenire e trattare le infezioni vaginali diventa l’occasione per parlare di biohacking e delle relazioni simbiotiche tra gli esseri umani e le altre forme di vita, esempio di un cambio di prospettiva su come confrontarci con gli altri innumerevoli esseri viventi che co-abitano la Terra.

BIOFILIE è, in definitiva, un’occasione per interrogarsi su come stiamo cambiando il modo di interpretare e interrogare il mondo, con l’obiettivo di suggerire che è tempo di scegliere come vogliamo che la tecnologia entri in tutti gli aspetti della nostra vita.

Si tratta di porsi interrogativi importanti al fine di essere partecipi attivamente in un processo di innovazione già in atto.

Si tratta di spostare più in là il confine tra ordinario e straordinario.