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Arte interattiva e tecnologie digitali

L’arte è “interattiva” per natura: la rappresentazione, infatti, si basa su una distanza tra opera e spettatore che viene colmata nel momento stesso in cui quest’ultimo fruisce dell’opera. L’immersione del lettore o dello spettatore nel mondo della finzione è il punto limite a cui tendono tutte le pratiche rappresentative. L’opera è un rapporto e crea rapporti: stabilisce relazioni tra artista, lavoro e spettatore. Questa relazione trova tradizionalmente il suo veicolo fondamentale nella vista, il senso più vivo e ricettivo – secondo gli antichi anche il più ingannevole – dell’essere umano.

L’uomo contemporaneo, però, vive con “il cervello fuori dalla testa e i nervi fuori dalla pelle” (Caronia, Dal cyborg al postumano), un corpo disseminato e profondamente sensuale. Contestualmente a questa “nuova antropologia”, si profila anche una nuova concezione dell’arte che non è più un unicum da contemplare nell’hic et nunc dei musei, ma diviene sempre più un’arte quotidiana, da vivere e sperimentare, toccare, fruire con ed in tutti i sensi.

Nell’era del digitale, in cui le interfacce sono sempre più invisibili e semplici da utilizzare, con il termine “arte interattiva” si intendono quelle esperienze artistiche che non consegnano un’opera finita, un artefatto, ma creano le condizioni di un’esperienza. Lo spettatore in questo caso non si limita a guardare, ascoltare o contemplare, ma interviene nell’opera, ne diventa in qualche modo autore insieme con chi l’ha ideata e progettata.

Nel contesto di queste esplorazioni si innestano le potenzialità interattive della tecnologia digitale, che hanno reso più dense le forme di partecipazione e hanno portato ad un nuovo tipo di dialogo con lo spettatore. Difatti, sebbene esistano forme di coinvolgimento del pubblico già da prima dell’avvento del digitale, è con computer, software, algoritmi che diviene possibile entrare a far parte di un universo ibrido, dinamico e trasformabile (che poi, fuor di metafora, è ciò che Zuckerberg si propone di fare con Meta).

L’esperienza estetica coincide nell’arte interattiva con lo stimolo ad agire, utilizzando i comandi di un computer – come si trattasse di un videogioco – indossando visori e wearable tech  (un esempio può essere lo spettacolo in VR di Elio Germano, Così è (o mi pare)), oppure operando secondo atti più naturali e spontanei di contatto (es. Chat with a stranger, dell’artista italiano Pier Alfeo) nell’ambito di un rapporto i cui termini fondamentali – mediati da una dimensione immaginativa – sono l’artista, i dispositivi tecnologici e lo spettatore.

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Chat with a stranger, Pier Alfeo

Tra le più celebri installazioni interattive va ricordata la pionieristica The Legible City di Jeffrey Shaw (1988-91): qui il visitatore guida una bicicletta stazionaria attraverso la rappresentazione simulata di una città – Manhattan, Amsterdam, Karlsruhe – costituita da lettere tridimensionali generate al computer che formano parole e frasi lungo i lati delle strade. Utilizzando le planimetrie delle città reali, The Legible City sostituisce completamente l’architettura esistente di queste città con formazioni di testo scritte e compilate dall’artista e drammaturgo Dirk Groeneveld. Percorrere queste città di parole è quindi un viaggio di lettura; la scelta del percorso che si intraprende crea una ricombinazione di questi testi e congiunzioni spontanee di significato.

Il manubrio e i pedali dell’interfaccia della bicicletta offrono allo spettatore un controllo interattivo sulla direzione e la velocità di marcia. Un videoproiettore proietta l’immagine generata dal computer su un grande schermo, mentre un piccolo monitor LCD – davanti alla bicicletta – mostra la pianta di ogni città e la posizione immediata del ciclista. L’effetto di realtà si intreccia con una dimensione quasi surreale, continuamente trasformata.

The Legible City è parte della collezione dello ZKM, Center for Art and Media di Karlsruhe, nel cui ambito è particolarmente curata la ricerca sull’interattività come forma d’arte autonoma e specifica. Un’attenzione particolare per il digitale, l’interattività, la realtà virtuale e la simulazione caratterizza anche altri centri di importanza internazionale, come l’InterCommunication Center di Tokyo e l’Ars Electronica Center di Linz.

Proprio quest’ultima kermesse propone un’intera categoria dedicata alle opere interattive in tutte le forme e formati, dalle installazioni alle performance. In nome di questa varietà e per sottolineare l’apertura a nuovi esperimenti e interpretazioni ampliate dell’arte interattiva, dal 2016 è stato aggiunto un + al nome della categoria (Interactive Art +). L’ultima opera vincitrice del Golden Nica per questa categoria è l’opera interattiva SOMEONE della statunitense Lauren Lee McCarthy.

SOMEONE è un’installazione di arte interattiva che utilizza le “case intelligenti” come un’opportunità per far luce sul rapporto intimità/privacy e per interrogarsi sul ruolo della forza lavoro umana in un futuro caratterizzato dall’automazione. Entrando nella galleria, i visitatori trovano un “centro di comando” dotato di quattro postazioni computer. Ogni computer esamina una delle quattro case dei partecipanti, installata con dispositivi intelligenti progettati su misura (telecamere, microfoni, interruttori, luci ed elettrodomestici). I visitatori sono invitati ad assumere il ruolo dell’assistente vocale: potrebbero sentire gli occupanti di una casa intelligente chiamare “Someone“, spingendoli a intervenire in veste di assistente domotico per rispondere alle loro esigenze. Possono, nel mentre, “sbirciare” nelle quattro case tramite i laptop, vigilare e controllare a distanza i dispositivi. La prima versione di questa installazione era connessa “dal vivo” a quattro case negli Stati Uniti e lo è stata per un periodo di due mesi.

Lauren Lee McCarthy ci invita a ragionare sui dispositivi intelligenti che equipaggiano le nostre case offrendoci comodità a costo della perdita della privacy e del controllo sulle nostre vite e sulle nostre case. Queste tecnologie invadono uno spazio che è personale: il primo luogo in cui siamo vegliati, socializzati ed accuditi. La casa è il primo luogo di educazione culturale: è lì che impariamo a essere una persona. Questa installazione, lontana dall’imporre un giudizio, crea spazio per consentire agli spettatori di formare la propria opinione.

Sostituendo gli esseri umani con l’IA, il ruolo dell’assistente virtuale viene ricontestualizzato. L’artista si interroga sul ruolo dell’essere umano nell’era delle macchine intelligenti esaminando i mezzi di comunicazione e ri-immaginandoli. Per McCarthy, il Someone è la versione umana di Alexa di Amazon, che mette in scena un’interazione tra il pubblico in galleria e le persone a casa. Ogni fruitore viene invitato a vivere una personale esperienza, confrontandosi ed interagendo con la creazione dell’artista che si presenta come mai uguale a se stessa.

L’interazione uomo-macchina viene invertita per diventare un’interazione uomo-uomo filtrata attraverso una macchina.

Fonti e Approfondimenti: Noema